Due chiacchiere su… Luciano “Ciano” Bonetti

A pochi giorni dal 5° Memorial Luciano Bonetti, abbiamo incontrato Marco Fregata e Nicola Fenzi per fare due chiacchiere e ripercorrere un po’ di memorie della storia Buster.
Oggi tecnici del nostro settore giovanile, è dagli anni dell’Adige 80 che sono impegnati sui campi di Verona, avendo avuto modo di conoscere bene il “Ciano” e imparare da lui, per tramandare e trasmettere la sua filosofia a tante generazioni di giovani giocatori…

Buster Basket: Quali sono alcuni dei vostri ricordi di Luciano, come lo presentereste a chi non ha avuto la fortuna di conoscerlo?

Marco e Nicola: Di ricordi e aneddoti ce ne sarebbero tantissimi, dagli esercizi che ci faceva fare in palestra alle abitudini particolari che aveva. Era una persona molto presente, magari chiamava la mattina alle 7.00 perché era sicuro di trovarti al telefono o ti teneva fuori a cena fino alle 2.00 per organizzare le attività per le squadre…

M: Luciano era attivo nella famosa Bruno Gaiga, faceva il massaggiatore e seguiva la preparazione della squadra ciclistica, è stato uno dei fondatori dell’associazione e, come dirigente/allenatore, aveva il principale obiettivo di far fare attività ai ragazzi in modo sano. Era sempre disponibile con i ragazzi, si impegnava in prima persona per coinvolgere tutti e spesso ci passava a prendere in macchina, ci comprava il biglietto e ci portava al Coni a vedere la Citrosil che giocava in Serie B. Aveva molto a cuore le situazioni familiari di ognuno per poter aiutare chi ne aveva più bisogno.

N: Da quando l’abbiamo conosciuto a quando ci ha salutati è sempre rimasto identico, nei modi, nei costumi, con il suo caratteristico borsello di pelle. Io l’ho conosciuto quando ero ancora un giocatore, arrivava in palestra con i suoi occhiali da sole scuri ed era sempre pronto a dare un consiglio. Faceva l’allenatore, ma ci teneva a dire che veniva dal ciclismo e di pallacanestro non ne sapeva molto, è sempre stato molto umile.
Quando poi sono entrato in Buster come allenatore ho ritrovato Luciano come assistente e ricordo la sua incredibile capacità di fare gruppo anche tra i genitori. Creava una squadra intorno alla squadra, riuniva tutti ed era bellissimo andare in trasferta. Ricordo che un anno partecipammo al campionato provinciale riuscendo a vincere quasi tutte le partite, appena si presentò l’occasione iniziò ad organizzarci trasferte per arrivare verso Mantova, Oderzo o Brescia per cercare nuove esperienze e squadre più forti per spingerci a migliorare.

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M: Successe anche alle mie squadre: organizzava spesso amichevoli contro gli americani, sosteneva che “solo perdendo si diventa forti”, e, come iniziavamo a vincere troppo in zona, ci iniziava a portare in trasferta fuori provincia per alzare il livello.
Siamo cresciuti tanto in quel periodo, avevamo una bella squadra a Povegliano, eravamo ancora in pochi a gestire l’organizzazione, però ricordo bene di tutte le volte in cui mi portava nelle pizzerie che conosceva meglio per fare la pianificazione. Per lui la pianificazione era una cosa molto importante, ci si metteva a tavola e si iniziava a parlare di ogni ragazzo e di ogni situazione particolare per cercare di trovare delle soluzioni o aiutare chi era in difficoltà. Ci teneva tanto ad organizzare tutto nei dettagli e si spendeva molto per i giovani che lo meritavano, soprattutto per quelli che magari avevano meno talento, capacità o possibilità ma che mostravano più voglia e impegno. Loro, li premiava subito, ed era bello vedere come li inseriva nella pianificazione: costruiva le squadre in modo tale da mettere i ragazzi che non avevano modo di spostarsi nei gruppi degli allenatori che gli abitavano vicino così da potergli garantire un passaggio.

Poi dava ad ogni allenatore la responsabilità di quel ragazzo e controllava che andasse tutto bene o interveniva in prima persona se quel giorno serviva un passaggio in più.
Negli anni ha seguito tantissimi ragazzi, anche in un periodo in cui si era allontanato dalla Buster e aveva fatto si che uno dei “suoi” finisse nella mia squadra perché lo seguissi io. Mi ricordo che aveva altri impegni e attività, ma ogni tanto si affacciava in palestra per dare un’occhiata, si fermava a chiacchierare per sapere come andavano le cose e, conoscendolo bene, mi dava consigli preziosi per fare un buon lavoro e farlo crescere meglio.

N: Luciano aveva tante attenzioni, ma anche tantissime idee che per l’epoca sembravano strane o insolite e che invece oggi sono più che condivise. A modo suo era un pioniere. Aveva i suoi esercizi classici da proporre in palestra, ma era anche uno dei primi che faceva fare gli allenamenti senza scarpe per riuscire a sentire meglio gli appoggi dei piedi a terra. È stato uno dei primi ad insistere perché si andasse a fare terapia dall’osteopata… All’epoca lo chiamavamo addirittura “tiraossi”!

M: A metà degli anni ’90 aveva organizzato anche il primo camp di basket, un’esperienza memorabile! Io allenavo la squadra 1982/83 di Povegliano, a fine stagione ha deciso di fare quest’esperimento e durante l’estate ci ha portati una settimana a Cerna. Eravamo in una casa che utilizzavano i ciclisti per la loro preparazione atletica e lui aveva pensato a tutto, incluso fare da mangiare con mia moglie. Io e la squadra abbiamo passato dei giorni splendidi: giocavamo a basket nella palestra lì vicino, sfidavamo i ragazzi del paese a calcio, andavamo a fare le passeggiate nei boschi. Credo se lo ricordino ancora come una cosa incredibile.

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insegna ed emoziona

BB: Sono stati tanti i ragazzi che hanno avuto modo di crescere in quegli anni, oggi alcuni di loro sono ancora in palestra ad accompagnare figli o nipoti agli allenamenti…

M: Si, ce ne sono tantissimi che ancora hanno un ricordo incredibile, sia per le cose più grandi che per quelle più piccole ed è bello che sentano ancora questo attaccamento.

N: Le prime attività le aveva organizzate all’aperto con grande seguito, poi è arrivata la palestra di Santa Lucia ed è diventato un posto importante. È stato lui ad attaccare le gomme verdi sotto i canestri per evitare che i bambini potessero farsi male… È molto bello che oggi quella palestra porti il suo nome!

BB: Intitolazione che è stata fatta proprio un anno fa in occasione dell’ultimo Memorial…

M: Si, è stato un momento molto emozionante. Sicuramente per me, ma credo proprio anche per le tantissime persone che l’hanno conosciuto e che lo hanno seguito fin dai primi anni di attività. Un momento così sentito e con così tanta partecipazione è un segno importante di quello che ha lasciato, una traccia in tutti quelli che hanno avuto modo di incontrarlo, che ricordano quegli anni e che hanno fatto loro un po’ dei suoi insegnamenti.

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BB: Quali sono le cose che pensate sia riuscito a trasmettere meglio, quei valori che sono arrivati fino alla Buster di oggi?

M e N: Sicuramente l’attenzione verso tutti, verso qualsiasi bambino o ragazzo che entra in palestra e cerca un posto in cui crescere. Qui non c’è spazio solo per chi ha talento e vuole diventare un campione, le energie non vanno solo in quella direzione, anzi. Tutti hanno modo di ricevere attenzione sia dentro che fuori dal campo e sono circondati da un ambiente accogliente e pronto ad accompagnare ognuno di loro nell’affrontare un percorso di crescita sia cestistico che umano. Il progetto Canestro Sospeso è senza dubbio una delle cose più concrete di quella che era la sua visione.

BB: Un progetto che ha come primi destinatari proprio i bambini, mini-atleti come quelli che a breve saranno nella palestra “Bonetti” per il 5° Memorial dedicato al “Ciano”. Avete un augurio da fargli?

N: Gli auguro di passare delle belle giornate e continuare a tornare in palestra con l’idea di trovare il posto giusto per far crescere la loro passione, quella spinta che li accompagnerà per anni e gli darà l’energia per continuare a giocare o magari per poi diventare allenatori, dirigenti, grandi appassionati che coinvolgeranno ancora altre persone. Che possano affezionarsi e sentire un forte senso di appartenenza a questo sport e a questa società.

M: Io spero che possano ricordarsi per sempre di questa esperienza, che possano vivere questo torneo come un evento fantastico e bellissimo che gli ha dato la possibilità di incontrare altri ragazzini come loro, dove hanno vinto, dove hanno perso, ma soprattutto dove si sono divertiti tanto. Perché alla fine il basket, ma lo sport in generale, a quest’età deve essere gioco e divertimento.